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Lavoro auto elettriche, a rischio migliaia di lavoratori

Con la transizione verso l'elettrico migliaia di posti di lavoro potrebbero essere a rischio in diversi Paesi dell'Unione Europea. Le politiche governative, in vista di questo scenario, potrebbero fare la differenza.

Se la tecnologia delle auto elettriche rappresenta un’innovazione orientata ad un futuro più green e sostenibile dal punto di vista ambientale, potrebbe però comportare una serie di rischi per moltissimi lavoratori.

Infatti, secondo uno studio commissionato dalla CLEPA (Associazione europea della componentistica automotive), con la predominanza nel mercato di veicoli elettrici potrebbe essere a rischio circa mezzo milione di lavoratori europei.

Lavoro auto elettriche: chi è a rischio

Con la transizione dai motori termici all’elettrico, circa mezzo milione di lavoratori potrebbe rischiare di perdere il posto di lavoro.

Questo è quanto stimato dalla CLEPA e rivelato a seguito di uno studio commissionato alla Pwc.

Nello specifico, sarebbero a rischio le imprese di fornitura di motori elettrici e i dipendenti. Solo in Italia si considera un rischio di chiusura di circa 450-500 aziende di componentistica per le quali sono attivi 70.000 lavoratori.

Molte attività, di conseguenza, potrebbero sparire, mentre altre rischierebbero di diventare obsolete e necessiterebbero di forti investimenti verso processi più innovativi.

Se da un lato molti posti di lavoro verrebbero ridotti, dall’altro si creerebbero nuove occupazioni. Tuttavia, si stima che solo la metà dei posti persi verrebbero riassorbiti in nuove attività trainate dall’avvento dell’elettrico, considerando un livello di piena produzione paragonabile a quello attuale.

Gli scenari possibili

Lo studio svolto dalla Pwc considera la possibilità che si verifichino tre diversi scenari.

Nel primo caso, si avrà entro il 2040 un approccio di mercato misto, basato sull’acquisto sempre più massivo di auto elettriche, ma con la permanenza di veicoli a motore termico. Questo comporterebbe una netta riduzione delle emissioni che potrebbero più che dimezzarsi.

Il secondo caso, invece, potrebbe essere verosimilmente quello già previsto dalla Commissione Europea che ha definito lo stop delle vendite alle auto a benzina e diesel entro il 2035. Questo comporterebbe l’esclusiva immatricolazione di veicoli elettrici e, di conseguenza, una significativa riduzione dei veicoli a motore termico, che nel tempo andrebbero a sparire.

L’ultimo scenario, invece, è quello più radicale: entro il 2030 potrebbe essere conseguito l’obiettivo di emissioni zero e le vendite di auto elettriche potrebbero essere la quasi totalità.

Rispettivamente, i tre scenari potrebbero comportare una quota di mercato dell’elettrico del 50%, dell’80% e del 100%.

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Cosa influenza i risultati

Quando si tratta di transizioni così significative, l’impatto può essere critico e generare delle difficoltà economiche e occupazionali a livello nazionale, europeo e globale.

Tuttavia, se la transizione è attuata attraverso delle politiche di investimento strategiche e una attenta pianificazione che sia in grado di creare sinergia, allora la situazione potrebbe ribaltarsi e prevedere un orizzonte occupazionale ed economico persino più florido.

Infatti, secondo una ricerca svolta dalla McKinsey & Company, multinazionale di consulenze strategiche, rivolta all’elettrificazione del settore automotive, una transizione gestita in maniera efficace potrebbe assicurare l’aumento di ben 15 milioni di posti di lavoro a livello mondiale.

Anche la SMMT (Society of Motor Manufacturers and Traders) sembra essere dello stesso parere. Effettuando i giusti investimenti nelle gigafactory e nel settore della componentistica potrebbero crearsi migliaia di posti di lavoro a livello nazionale.

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I dati occupazionali previsti

Secondo lo studio effettuato da Pwc, i Paesi che potrebbero subire un maggiore impatto in termini occupazionali sarebbero alcuni dell’Unione Europea. Le perdite di posti di lavoro potrebbero riguardare Germania (121 mila lavoratori), Italia (74 mila), Spagna (72 mila), Romania (56 mila).

Si stima che questo scenario potrebbe verificarsi tra il 2030 e il 2035, per un totale di 359 mila posti di lavoro che verrebbero a mancare.

Le strategie governative per la transizione

Il successo o meno della transizione potrebbe dipendere in gran parte dalle politiche governative dei singoli Paesi.

La creazione di valore aggiunto e di nuovi posti di lavoro è legata alla produzione europea di batterie, che dovrà essere incrementata, per evitare una netta dipendenza dalla produzione cinese.

A proteggere le aziende in questa fase dovrà essere il governo. In particolar modo le politiche nazionali dovrebbero prevedere un aumento di incentivi statali nei confronti delle aziende di componentistica e un’attenzione particolare rivolta alle Pmi.

Sono proprio le piccole e medie imprese che in Italia rappresentano la maggior parte della compagine aziendale nel settore delle componenti, le quali sono ad oggi ancora concentrate sulla tecnologia legata ai motori termici. Per imprese con un capitale relativamente basso sarebbe, quindi, molto difficile attuare ingenti investimenti che consentano una transizione nei prossimi anni.

Per questa ragione la strategia dovrebbe essere orientata a 360 gradi e prevedere dei fondi che non compromettano la sopravvivenza delle aziende.

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